Jayco-AlUla, Vittorio Algeri si racconta dalla fattoria alla bici: “Non si finisce mai, ma mi piace. Questa è la mia vita”
Vittorio Algeri riflette sulla sua vita e la doppia carriera nel ciclismo. Attualmente direttore sportivo del Team Jayco Alula, formazione nella quale milita sin dall’anno della sua fondazione, nel 2011, il 71enne di Torre de’ Roveri in passato è stato un ciclista professionista, per poi dunque continuare a vivere la sua vita nel mondo del pedale, così diverso da quello che aveva conosciuto da piccolo, anche se è lì che aveva presto incontrato la bicicletta, quello che si rivelerà un amore a prima vista.
“I bambini del mio villaggio giocavano a calcio in piazza, ma io vivevo in una fattoria molto lontana, quindi non ho mai imparato – spiega in una interessante intervista pubblicata dalla squadra – C’erano cinque famiglie. Io giocavo e aiutavo mio padre nei campi e in inverno recitavamo tutti assieme il rosario nella stalla con gli animali, era il logo più caldo. A tre anni, potevo già andare senza pedali. E quando potevo, mi buttavo sulle strade sterrate. Il mondo della fattoria era troppo piccolo. Pedalando ho scoperto la libertà”.
La sua famiglia possedeva dunque una fattoria e lui proviene proprio da quel mondo da cui però ha sempre voluto staccarsi, vivendo le prime grandi avventure in sella assieme al fratello Pietro, che a sua volta diventerà professionista e poi direttore sportivo. A 15 anni entra nella squadra locale e si affaccia al mondo della competizione. Vittorio per metà anno corre in bici, facendo le gare, e dall’altra parte lavora come falegname, il suo primo mestiere. “Ho iniziato a lavorare quando avevo dieci anni – racconta – Il legno è la mai grande passione, mi piace inventare e risolvere problemi. È un materiale straordinario. Inoltre, bisognava portare i soldi a casa, in quel periodo era difficile vivere con il ciclismo”.
Dopo le prime convocazioni in nazionale tra i giovani, nel 1976 vinse il campionato italiano dilettanti (nonché una tappa vicino casa, Settimana Ciclistica Bergamasca, che racconta come la più grande soddisfazione della sua carriera), guadagnandosi un posto alle Olimpiadi di Montreal, dove arrivò ottavo. “Ho scelto di non unirmi alla fuga perché ero sicuro che i russi e i polacchi avrebbero colmato il gap, ma non è stato così – racconta amaro riguardo quella che resta la sua più grande delusione della carriera – Così, sono partito da solo e sono rientrato sui primi a 15 chilometri dall’arrivo. Ho provato ad attaccare sotto la pioggia, ma le gambe erano molto dure. Mi hanno ripreso e sono arrivato solo ottavo. Ci penso ancora adesso”.
Entrato successivamente nel mondo del professionismo si fa rapidamente notare per il suo spunto veloce e la discreta resistenza, vincendo tappe a Giro del Belgio, Tirreno-Adriatico, Giro d’Italia, nonché un campionato italiano e raccogliendo numerosi piazzamenti, oltre a qualche soddisfazione in pista. Dopo undici anni e sette vittorie, nel 1987 decise di abbandonare le corse per dedicarsi a fare il direttore sportivo. “Mi è sempre piaciuto insegnare ai giovani e quando Gianluigi Stanga mi ha proposto di sostituirlo alla Milano-Torino non ci ho pensato due volte”, ricorda.
Dall’ammiraglia ha seguito corridori del calibro di Gianni Bugno, corridore del quale sottolinea “la grande pressione” che sentiva, e Gianluca Bortolami, che ha scortato al successo nel Giro delle Fiandre 2001, che considera la sua più grande soddisfazione da DS. “Il ciclismo è cambiato molto – aggiunge – Quando ho iniziato in una squadra c’erano due direttori e 10-12 corridori. Ora c’è il rischio che un corridore lo incontri al ritiro di allenamento a dicembre e poi niente fino all’anno successivo”.
La passione tuttavia non è finita: “Non pensavo sarei stato ancora qui nel 2025 – ammette Mi è sempre piaciuto l’entusiasmo che le person di questa squadra mettono nel loro lavoro. Grazie a tutti siamo cresciuti molto e ora siamo quasi 200. Non si finisce mai. Non appena finisce una stagione, inizia la successiva. Mi piace, questa è la mia vita”.
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